Poco tempo fa, mi è capitato di discutere rispetto alle differenze tra la mia generazione ed i millennial (ragazzi nati negli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo) e post-millennial (nati dalla fine dello scorso secolo fino ad oggi); in effetti, mi capita tutti i giorni di discutere con un post-millennial – mio figlio – e non sempre ci capiamo, e la stessa cosa la sento dire da altre mamme e altri papà.

C’è indubbiamente differenza, così come c’è stata differenza tra noi e i nostri genitori; e spesso quello che accade quando si riconosce la differenza ma non la si accetta (o non si cerca di comprenderla) è che si crea una frattura definitiva tra generazioni, nociva a tutti.

Eppure, la comprensione potrebbe essere una via d’uscita, e lo testimonia anche un interessante articolo di Julia Dhar, Partner presso la Boston Consulting Group (BCG) e a capo dell’iniziativa di economia comportamentale BeSmart.

Secondo la dottoressa Dhar, tre sono le strategie principali per motivare e coinvolgere i Millennial (ma io mi spingo oltre dicendo che probabilmente le stesse strage funzionano anche con i post-millennial dai 9-10 anni in su, opportunamente adattate all’età):

1) focalizzare l’attenzione dei ragazzi e bambini sul identità di team piuttosto che sui risultati. Già da piccoli, tendiamo a pensare in termini individualistici ed il fatto che ogni giorno ci troviamo a confrontarci con i voti spinge ancora di più sull’acceleratore della performance personale. Spostare il focus sul lavoro di gruppo può motivare anche gli individui che da soli non sarebbero motivati (la Dhar fa l’esempio di un gruppo di managers che credevano di sapere già tutto sulla leadership – il solo fatto di indurli a definirsi “leader che imparano” li ha spinti a condividere col gruppo esperienze di crescita che altrimenti sarebbero rimaste nella sfera individuale).
2) ispirarli con degli obiettivi piuttosto che col denaro: queste generazioni sono abituate a sentir parlare di (e sono più sensibili a) obiettivi, sogni, realizzazione di sé e quindi sono molto più inclini ad essere motivati e coinvolti da questo tipo strumenti che non dalle ricompense economiche.
3) creare una cultura di campioni che lodino i colleghi. I millennial e post-millennial sono infinitamente più social di noi, sono abituati a veder condivisi i successi e a giudicarli con i “mi piace” e i “non mi piace”. Perché allora non fare di questa attitudine social uno strumento utile a motivarli? In quanto team, permettere loro di condividere i successi e fare in modo che i colleghi si complimentino (e suggeriscano cosa è stato fatto bene e cosa si può migliorare) è una motivazione non da poco.