Questa settimana parleremo del nostro comportamento e giudizio verso noi stessi e verso gli altri.
C’è un detto che dice “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, ma molto spesso il problema non è questo: molto spesso il problema è che l’indulgenza e la bontà che dimostriamo verso gli altri, non la dimostriamo verso noi stessi.
Vi faccio degli esempi: se un amico sbaglia o fallisce, lo riempite di insulti, gli dite che è un buono a nulla e che non vale niente? E se voi sbagliate, siete altrettanto indulgenti?
Se vostro figlio non riesce a fare una cosa, gli dite di ritentare o gli date dello stupido? E se voi non riuscite a fare una cosa, cosa pensate di voi stessi?
Siamo abituati a giudicarci troppo severamente, e spesso anche le parole degli altri – più indulgenti – non fanno breccia su di noi, perché non le crediamo vere, sincere. Invece lo sono, allo stesso modo in cui lo sono le vostre quando consolate un amico, un parente, un figlio.
Non sto dicendo che di fronte a un grave errore, ad un fallimento importante, ad una dipendenza o ad un passo più lungo della gamba non si debba riflettere su quello che si è fatto e su cosa è andato storto, per rimediare: quello che sto dicendo è che spesso siamo eccessivamente punitivi nei nostri confronti anche di fronte a cose che hanno facile rimedio, e questo è un peccato perché ci impedisce 1) di imparare una lezione e 2) di vedere l’opportunità di miglioramento dietro ad una cosa andata storta.
Quindi, per crescere come persone, come esseri umani, vale la pena provare a fare esattamente in contrario di quello che si fa di solito: non flagellarci se sbagliamo ma essere comprensivi così come lo siamo nei confronti degli altri. Facciamo a noi stessi quello che facciamo con gli altri.